La direttiva 2003/109/CE del Consiglio osta ad una normativa nazionale che imponga ai cittadini di p
"Conclusivamente il Tribunale ha rimesso all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione della normativa interna in rapporto a quella comunitaria sovraordinata:
- se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 2003/109/CE e successive modifiche ed integrazioni, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dall’art. 5, comma 2-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 nella parte in cui prescrive che la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento (…)”, fissando in tal modo un importo minimo del contributo pari ad 8 volte circa il costo per il rilascio di una carta d’identità nazionale.
5. Con sentenza 2 settembre 2015 (in causa C-309/14), pervenuta in atti il 9 settembre successivo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata da questo Tribunale.
La Corte europea ha argomentato come segue:
"(...) La direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011, osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, in quanto siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti da quest’ultima".
(...) 9. Come ha condivisibilmente affermato la difesa di parte ricorrente, il percorso argomentativo seguito dalla Corte europea si fonda sul principio comunitario del cd. “effetto utile”, che nella specie si concreta nell’esigenza di non creare ostacoli al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo conferito dalla direttiva. Se questo è vero, è evidente che detto effetto utile sarebbe compromesso anche dalla fissazione di un contributo eccessivo nei confronti di coloro che richiedono il rilascio di permessi di soggiorno più brevi, dato che il conseguimento di questi ultimi costituisce il presupposto logico e giuridico per il conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo (che richiede almeno cinque anni di soggiorno legale e ininterrotto). (...)
Alla stregua di queste premesse, il Collegio non può che prendere atto della pronuncia della Corte europea e procedere - secondo i consolidati principi - alla disapplicazione della normativa nazionale che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, e quindi, in particolare, dell’art. 5, comma 2 - ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, nonché del successivo art. 14 - bis, comma 2, nelle sole parti in cui esso richiama tale ultima disposizione, per contrasto con la normativa di fonte comunitaria."
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