I) La discrezionalità dell'Amministrazione nel concedere la cittadinanza si esplica in un potere
"Osserva il Collegio che, in tutte le ipotesi di concessione della cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 91 del 1992, l'Amministrazione gode di un ampio potere di valutazione discrezionale circa l'esistenza di una avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale. Deve essere, infatti, richiamato il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di concessione della cittadinanza per cui un tale provvedimento non costituisce atto dovuto in presenza dei presupposti di legge, implicando una valutazione discrezionale dell'amministrazione circa la possibilità che lo straniero sia ammesso a far parte della comunità nazionale. Secondo l'interpretazione giurisprudenziale, tale discrezionalità si esplica in un potere valutativo circa la avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto molteplici profili. In particolare, la discrezionalità non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato n. 5913 del 2011; n. 282 del 2010; Tar Lazio sez seconda quater n. 5665 del 2012; n. 3547 del 2012; n. 1833 del 2015).
La concessione della cittadinanza italiana – lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri. Si tratta, altrimenti detto, di apprezzare, oltre alla residenza decennale ed all’inesistenza di fattori ostativi, la sussistenza di ulteriori elementi che giustificano la concessione e motivano “l’opportunità di tale concessione”. E tanto anche al fine di evitare che, attraverso il conferimento dello status civitatis, lo straniero, che non rinuncia nel contempo alla cittadinanza di origine, possa divenire cittadino, pur non condividendo integralmente l’appartenenza alla Comunità nazionale. Inoltre, essendo affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale, il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011 n. 5913; Tar Lazio II quater n.9069 del 2015). (...)
Nei casi in cui il diniego di cittadinanza è fondato su ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il provvedimento di diniego è sufficientemente motivato, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, quando consente di comprendere l'iter logico seguito dall'amministrazione nell'adozione dell'atto, non essendo necessario che vengano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo (Tar Lazio II quater n. 2453 del 2014)
Gli accertamenti sulla sicurezza pubblica sono, infatti, naturalmente riservati e quando non sono posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti ma danno luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini, ben possono essere esternati con formule sintetiche che, piuttosto che configurarsi meramente apodittiche, hanno l’obiettivo di evitare il disvelamento di notizie che potrebbero compromettere anche solo attività di “intelligence” in corso (Tar Lazio II quater n. 957 del 2016)."
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