Il riconoscimento della qualifica di rifugiato e la valutazione della partecipazione a crimini di gu
"1) Le disposizioni dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta devono essere interpretate nel senso
- che esse riguardano tutto il personale militare, compreso il personale logistico e di sostegno;
- che esse comprendono la situazione in cui il servizio militare prestato comporterebbe di per sé, in un determinato conflitto, la commissione di crimini di guerra, includendo le situazioni in cui il richiedente lo status di rifugiato parteciperebbe solo indirettamente alla commissione di detti crimini in quanto, esercitando le sue funzioni, fornirebbe, con ragionevole plausibilità, un sostegno indispensabile alla preparazione o all'esecuzione degli stessi;
- che esse non riguardano esclusivamente le situazioni in cui è accertato che sono stati già commessi crimini di guerra o le situazioni che potrebbero rientrare nella sfera di competenza della Corte penale internazionale, ma anche quelle in cui il richiedente lo status di rifugiato può dimostrare che esiste un'alta probabilità che siffatti crimini siano commessi;
- che la valutazione dei fatti spettante alle sole autorità nazionali, sotto il controllo del giudice, per qualificare la situazione di servizio controversa, deve basarsi su un insieme di indizi tali da stabilire, tenuto conto di tutte le circostanze di cui trattasi, in particolare di quelle relative agli elementi pertinenti riguardanti il paese d'origine al momento dell'adozione della decisione sulla domanda, lo status individuale e la situazione personale del richiedente, che la situazione del servizio rende plausibile la commissione dei crimini di guerra asseriti;
- che le circostanze che un intervento militare sia stato intrapreso in forza di un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o sul fondamento di un consenso della comunità internazionale e che lo Stato o gli Stati che conducono le operazioni reprimano i crimini di guerra devono essere prese in considerazione nell'ambito della valutazione spettante alle autorità nazionali;
- che il rifiuto di prestare il servizio militare deve costituire il solo mezzo che permetta al richiedente lo status di rifugiato di evitare la partecipazione ai crimini di guerra asseriti, e che, di conseguenza, se quest'ultimo ha omesso di ricorrere alla procedura per ottenere lo status di obiettore di coscienza, tale circostanza esclude ogni protezione ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2004/83, a meno che detto richiedente non dimostri che non aveva a disposizione, nella sua situazione concreta, nessuna procedura siffatta.
2) Le disposizioni dell'articolo 9, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2004/83 devono essere interpretate nel senso che, in circostanze come quelle del procedimento principale, non risulta che i provvedimenti in cui incorre un militare a causa del suo rifiuto di prestare servizio, quali la condanna a una pena detentiva o il congedo con disonore, possano essere considerati, rispetto al legittimo esercizio da parte dello Stato interessato del suo diritto di mantenere una forza armata, a tal punto sproporzionati o discriminatori da rientrare tra gli atti di persecuzione considerati in tali disposizioni. Spetta tuttavia alle autorità nazionali verificare tale circostanza".
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