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Qualora il rapporto di lavoro in base al quale si chiede il titolo di soggiorno risulti fittizio, no

"Va in primo luogo osservato che, come è noto, il requisito del possesso di un reddito minimo idoneo al sostentamento dello straniero costituisce un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio dei titoli di soggiorno ai cittadini extracomunitarii, attenendo alla sostenibilità dell'ingresso e della permanenza dello straniero nella comunità nazionale in ragione del suo stabile inserimento nel contesto lavorativo e della sua capacità di contribuire allo sviluppo economico e sociale del paese ospitante, senza ricorrere ad attività illecite (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 2015, n. 2335 ).

A fronte, poi, della produzione, in sede procedimentale, di documentazione falsa, attestante un rapporto di lavoro in realtà insussistente, la pubblica amministrazione è tenuta a rifiutare il rilascio del titolo.

In effetti, in presenza di un rapporto di lavoro costituito in fraudem legis od inesistente, non può anzitutto sostenersi l'onere dell'Amministrazione di compiere ulteriori accertamenti e controlli volti a verificare, in qualsivoglia momento, la ricorrenza di elementi volti a superare la ( non ) veridicità delle dichiarazioni e delle documentazioni prodotte ad iniziativa del privato in sede di avvio del procedimento o nel corso dello stesso; documentazione, nel caso all’esame, di cui il ricorrente non ha peraltro mai contestato, com’egli stesso ammette (v. pagg. 5 – 6 app.), la falsità.

Ciò posto, con riferimento alle fattispecie caratterizzate da false allegazioni a sostegno delle domande di permesso di soggiorno, ritiene il Collegio che, qualora il rapporto di lavoro in base al quale si chiede il titolo di soggiorno risulti essere fittizio, non v'è alcuna possibilità per l’interessato di ottenere il titolo, nemmeno in seguito all'instaurazione successiva di altro rapporto di lavoro: v. l'art. 5, comma 5, del D. Lgs. n. 286/1998, secondo cui "il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato, . . .", nonché l'art. 4, comma 2, del D. Lgs. n. 286/1998, che impone la declaratoria di inammissibilità della domanda di visto di ingresso nel caso in cui vengano prodotti documenti non veritieri, il che è pacificamente riferibile anche al procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno, “sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle condizioni previste dal presente testo unico” (art. 5 cit., comma 4), fra le quali rientra il “possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno” ( art. 4 cit., comma 3 ) e dunque di documentazione veritiera, la cui falsità (qui, si ripete, non contestata) non occorre peraltro che sia dichiarata da una sentenza penale definitiva di condanna, potendo l'autorità amministrativa procedere ad un'autonoma valutazione, che non è soggetta al sindacato del giudice amministrativo ove confortata da idonei elementi di riscontro ( cfr. Cons. St., sez. III, 23 giugno 2014, n. 3182 ).

Del resto, nella stessa direzione, l’ordinamento generale prevede sic et simpliciter la decadenza “dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”, in caso, appunto, di non veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 ( art. 76 dello stesso D.P.R. )".


Per il testo integrale della pronuncia, clicca qui

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